Un progetto di vita
Questa è la storia di un’ospite del Laboratorio di Sartoria di Casa Sant’Angela. È un racconto che si basa su elementi reali ma che ha nomi e volti rivisitati. Vi accompagnerà nei luoghi in cui lavoriamo e mostrerà i valori nei quali crediamo.
Buona lettura!
Non dimenticherò mai la prima volta che sono entrata nel laboratorio. Ero tesa, impaurita, non sapevo cosa aspettarmi. Sono stati anni complicati e per me ogni cambiamento è come entrare in una cristalleria: tensione a ogni movimento e il timore, sempre estremamente radicato, che in un secondo tutto possa crollare.
Varcata la soglia mi ha accolto un rumore lieve ma intermittente della macchina da cucire, risate e chiacchiere in lingue diverse. Non ho avuto il tempo di guardarmi intorno che una signora seduta a un tavolo davanti a me ha alzato il piedino della macchina e sfilato la stoffa da sotto l’ago. Si è aggiustata gli occhiali e strizzando gli occhi mi ha guardata.
Mi sono sentita trafiggere dal suo sguardo che tutto è stato fuorché inquisitore.
Adele è miope e accoglie sempre tutti così. Sono gli anni da sarta che pesano sulla sua vista e sulle sue mani. Quando ha stretto le mie per accogliermi ho sentito la sua pelle ruvida e ho ripensato a quanti spilli, anche mia nonna, si era puntata nelle dita.
Mi sono seduta al tavolo senza saper parlare. Non sapevo cosa dire, non sapevo da dove iniziare. Adele ne ha viste molte di donne come me e ha capito subito che non era tempo di indugiare: “Togliti il cappotto cara e vieni qui vicino. Oggi ti insegno come infilare l’ago. Io sono vecchia e a volte mi scappa. Ho bisogno di qualcuno più giovane di me che mi aiuti”.
Lì per lì mi sono abbattuta. Sono davvero arrivata a tanto, ho davvero toccato così tanto il fondo da dover ripartire da qui?
Adele deve aver percepito il mio pensiero: “Non pensare che questa sia la tua unica mansione. Ci sono le stoffe per le giostrine di Tilla da scegliere e tagliare. Poi ti accompagno in magazzino. Hai sicuramente più senso estetico tu di me e poi dobbiamo decidere quale sarà il tuo primo progetto personale. Sai già cosa ti piacerebbe cucire?”
Di nuovo, paralizzata. “No, non sapevo…” e Adele subito “non ti preoccupare. Stasera prima che tu te ne vada ti presto un quaderno. Ci sono le borse e i cuscini che le altre ragazze hanno deciso di cucire il loro primo giorno. Ne vedrai di sgangherati ma abbiamo pensato di raccoglierli in un album. Così mentre lo sfogli ti fai un’idea, e anche qualche risata”.
E all’improvviso mi sono un po’ distesa. Sentirmi dopo alcuni minuti già parte di un progetto ha scatenato in me un senso di pace. La strada sicuramente è lunga ma credo di essere in buone mani. Sono forti, con esperienza, coraggiose e determinate. Sono quanto di meglio potessi desiderare per me adesso. Mi capiscono ma non mi compatiscono, mi trattano come se fossi una persona qualunque, come se il mio fardello fosse rimasto fuori dalla porta. O appeso in un armadietto. E la cosa mi rincuora.
Quella notte non ho dormito. Ero lontana da casa, in una stanza sconosciuta con il mio solito turbinio di pensieri nella testa. Il passato che come sempre, a luci spente, torna a farmi visita. Dovevo uscire di li.
Mi sono vestita in fretta e indossando il cappotto è caduto il quaderno di Adele. Una copertina a fiori, di quelle un po’ retrò, con un’etichetta “Tra un punto e una chiacchiera”.
Che stupidaggine pensare che un quadernetto avrebbe potuto farmi ridere. Che stupidaggine.
L’ho raccolto e sì è aperta una pagina: un disegno un po’ goffo di un coniglietto di pezza. Con i bottoni al posto degli occhi. Qualche appunto sulla stoffa “meglio qualcosa di soffice così non prude. Ma si possono usare anche gli asciugamani”. E in un istante ero seduta a terra, con gli occhi colmi di lacrime a ripercorrere il viaggio delle ragazze che prima di me sono state qui. A leggere i loro appunti e i loro desideri e rivedere me stessa in quelle pagine.
Pochi giorni dopo al laboratorio ho salutato Adele e ho esordito:” voglio fare qualcosa per gli altri. Le giostrine per i bimbi sono difficili?”. Adele ha sorriso compiaciuta: “No, non sono difficili. Sono solo una grande responsabilità. Perché finiranno in mano a delle famiglie che hanno appena avuto dei bambini. Te la senti?”. Non ho avuto il tempo di pensarci che le mie mani stavano già lavorando. Ho esaminato i disegni, tagliato, cucito, scucito e ritagliato tanti campioni ma alla fine sono riuscita, con Rosa al mio fianco, a creare il primo set di piccole formine imbottite.
L’ho consegnato nelle mani della Responsabile del progetto che mi ha ringraziata.
Mi sono sentita bene dopo tanto tempo. Ci saranno alti e bassi ma ricominciare in questo ambiente mi da speranza. Un mondo di persone gentili, premurose, socialmente impegnate esiste. Qui e altrove. È silenzioso e forse sconosciuto a molti ma è una fortuna che ci sia. È un dono che delle persone volontarie fanno a me e a chiunque si trovi in difficoltà. È un dono per la comunità, per le aziende, per chi riceverà i frutti del nostro lavoro. Ci mostra quanto siamo interconnessi e quanto il valore, di tutto, parte sempre dalle persone.